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Il compenso corrisposto dalla società sportiva al procuratore del calciatore costituisce un fringe benefit.

Aprile 20, 2022

Con recente Ordinanza n. 11337/2022, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate, è tornata nuovamente sulla questione relativa alla natura dei compensi corrisposti direttamente da una società sportiva al procuratore del calciatore professionista (sulla falsariga della precedente Ordinanza resa sempre sul punto n. 7377/2020 del 17/03/2020), affermando che gli stessi sono fringe benefit (ovvero, quei benefici accessori e/o compensi in natura, al pari di quelli che, nel mondo aziendale, sono finalizzati a soddisfare diverse esigenze dei lavoratori, come ad esempio l’uso di un’autovettura o di un telefono cellulare aziendale, abitazioni, concessioni di prestiti o finanziamenti aziendali a tassi agevolati, etc.) e, dunque, concorrendo tali somme a formare il reddito da lavoro dipendente da assoggettare a tassazione ai fini Irpef, il medesimo calciatore deve tenerne conto nella sua dichiarazione dei redditi ai sensi dell’art. 51 (Determinazione del reddito di lavoro dipendente) del DPR 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Da un punto di vista strettamente tributario, l’orientamento della Suprema Corte è in linea con la tesi portata avanti dal Fisco negli ultimi anni, secondo cui, a fronte del particolare rapporto di lavoro subordinato che lega la società sportiva al calciatore, l’onere del compenso al procuratore per la prestata consulenza nella preparazione del contratto di lavoro tra detta società e il giocatore – in assenza di un incarico diretto – avviene nell’interesse esclusivo, o comunque nell’interesse prevalente, del medesimo calciatore piuttosto che del club sportivo.  In tal senso, accertando la sussistenza di una componente retributiva “in natura” tassabile ai sensi dell’art. 51, comma 1, del TUIR rispetto a quella ordinariamente corrisposta al giocatore per lo svolgimento dell’attività sportiva, atteso che, in pratica, la società di calcio si accolla direttamente e a proprio carico il compenso dovuto dal calciatore al procuratore (quanto sopra in forza del principio tributario secondo il quale ogni somma che il lavoratore riceva dal datore di lavoro o comunque sia in qualsiasi modo riconducibile al rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con il datore di lavoro concorre a formare il reddito imponibile ai fini fiscali). Del resto, la natura civilistica del rapporto lavorativo instaurato tra l’atleta e la relativa squadra di calcio, in virtù dello stipulato contratto di prestazione professionistica, riconduce detto rapporto negoziale entro l’ambito della subordinazione, cosicché vi rientrano nelle connesse componenti reddituali anche tutti quei “benefici reali” (elementi aggiuntivi alla retribuzione ordinaria) goduti dal calciatore, tra cui, appunto, il compenso corrisposto dalla società sportiva al procuratore (soprattutto quando, a liquidare integramente quest’ultimo, sia solamente la società nonostante che la prestazione del procuratore non risulti resa nell’esclusivo interesse della stessa). Quanto sopra, con la conseguenza, oltre che dell’assoggettamento ad imposizione Irpef di detto fringe benefit in capo al calciatore, altresì dell’obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte da parte della società di calcio che abbia materialmente corrisposto al procuratore il compenso pattuito.