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Annullabilità del contratto per vizi del consenso (violenza morale). Necessità di una minaccia proveniente dall’esterno e condizionante il consenso del contraente. Esclusione di timori interni o valutazioni di convenienza.

Maggio 9, 2022

La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. II^, Ordinanza, 13/04/2022, n. 12058) è recentemente intervenuta in materia di annullamento del contratto per vizi della volontà, affermando che si verifica un’ipotesi di violenza invalidante il negozio giuridico, qualora uno dei contraenti subisca una minaccia direttamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte contrattuale o da un terzo, di natura tale da influire, con efficacia causale, sul determinismo del soggetto passivo che, in assenza della superiore minaccia, non avrebbe concluso il medesimo negozio. Tutto ciò, con l’evidente conseguenza che il contratto non potrà essere annullato ai sensi dell’articolo 1434 del Codice civile (“Annullabilità per violenza”), ove la determinazione del contraente sia stata determinata da un’apprensione meramente interna ovvero da personali valutazioni di convenienza, e cioè senza che l’oggettività del pregiudizio risulti idonea a condizionare un libero processo determinativo delle scelte compiute dal contraente. Nel caso affrontato dai Giudici di legittimità, la Corte territoriale di merito aveva ritenuto di confermare la sentenza di primo grado, ritenendo infondata l’impugnativa avente ad oggetto un lodo arbitrale riferito ad una pretesa annullabilità di un contratto contenente una clausola compromissoria per vizio del consenso, in quanto, sfornita di “adeguato conforto probatorio”, non essendo emersi univoci elementi di prova – soprattutto in virtù degli esiti testimoniali – riscontranti la dedotta violenza morale (avente i caratteri previsti dall’articolo 1435 del Codice Civile), che si prospettava esercitata nei confronti del legale rappresentante di una delle società contraenti, in occasione della sottoscrizione del negozio contrattuale in questione. La Suprema Corte, ripercorrendo le valutazioni compiute dalla Corte territoriale di merito – insindacabili in sede di legittimità – ha evidenziato come il giudice di appello, correttamente e pur volendo ipotizzare una qualche pressione esercitata in occasione della stipula contrattuale, non poteva ricondurla propriamente ad una condotta concretante una violenza morale, specificando che il contraente ritenutosi vittima della stessa non aveva neppure provveduto ad indicare gli argomenti o i comportamenti impiegati dalla controparte, idonei a rendere una possibile minaccia concretamente attuabile e credibile, nonché, in quanto tale, capace di costringere univocamente ed in modo determinante alla sottoscrizione contrattuale. In tal senso, quindi, la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza di una violenza morale, poiché da un punto di vista generale, risulta pacifico che in materia di annullamento contrattuale per vizi della volontà, si palesa accertabile la sussistenza della violenza invalidante il negozio giuridico, quando uno dei contraenti risulti concretamente vittima di una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto. Di modo che, ove la determinazione della parte contraente sia stata determinata da timori meramente interni o da impressionabilità o da preoccupazione meramente soggettive, ovvero da personali valutazioni di convenienza, tali elementi non risultano inequivocabilmente idonei a condizionare il libero processo determinativo delle scelte e non può quindi parlarsi di una violenza morale implicante l’annullabilità del contratto.